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Tutto ebbe inizio nel 1880, quando Johanna Spyri pubblicò il suo romanzo Heidi. La storia di questa bambina allegra e spensierata piacque talmente tanto che approdò sul grande schermo, con numerosi adattamenti cinematografici. Persino in Giappone ne vennero a conoscenza, ed è qui che nacque negli anni Settanta l’anime che consacrò definitivamente Heidi alla fama mondiale.

E diciamocelo: chi non si è mai ritrovato a canticchiare allegramente “Heidiiii.. Ti sorridono i monti”, chiedendosi nel frattempo se per caso le caprette salutassero Heidi scuotendo uno zoccolo? A me è capitato spesso, d’altronde ho visto molte puntate della serie animata ma in modo sempre sporadico, senza mai seguirla dall’inizio alla fine. Così facendo mi sono persa molte tematiche importanti che stanno alla base della storia. Per questo, quando ho avuto occasione di assistere all’anteprima del film Heidi di Alain Gsponer, in uscita nelle sale italiane il 24 marzo, ho pensato che fosse una buona occasione per colmare le mie lacune.

Se, come me, conoscete più l’anime che il romanzo, devo avvertirvi che i produttori si sono invece basati sull’opera della Spyri: se guardando il film avete come l’impressione che alcuni episodi siano andati diversamente da come ve li ricordate (per esempio la distruzione della carrozzella di Clara), probabilmente è perché non avete letto il romanzo. Tuttavia ciò non è un problema, dato che anche l’opera di Miyazaki rimane molto fedele alla Spyri. Mi spiace solo che nel film di Gsponer manchi Nebbia, il San Bernardo del nonno, e che Fiocco di Neve venga nominata una volta sola e poi dimenticata.

Heidi di Alain Gsponer un adattamento quasi riuscito

Devo dire che le tematiche emergono tutte: la ricerca di un luogo sicuro e della propria identità, il contrasto tra il mondo industrializzato e la natura, tra povertà e ricchezza. Temi sempre attuali, che fanno di Heidi una storia senza tempo e, come l’ha definita il padre del regista, “per adulti”. Nonostante 115 minuti siano pochi per approfondire in modo eccellente temi così importanti, la sceneggiatrice Petra Volpe ha fatto un ottimo lavoro perché è riuscita a toccare le corde giuste del romanzo. Ho inoltre apprezzato la sua decisione di non approfondire il tema della fede, tanto caro alla Spyri, che nel film emerge solo nelle preghiere sporadiche che pronunciano ogni tanto alcuni personaggi: affrontare un tema così difficile in così poco tempo rischiava di rovinare il film, soprattutto in un’epoca come la nostra in cui permane molto scetticismo a riguardo.

Anche la scenografia è molto curata: le riprese si sono svolte a Latsch, nel Cantone dei Grigioni, in Sassonia-Anhalt e in Turingia. La baita del nonno somiglia molto a quella presente nell’anime, con la scaletta per salire sul sottotetto dove dorme Heidi, e la Francoforte del XIX° secolo è stata ricreata alla perfezione. La cura della scenografia si nota anche nelle piccole cose: quando ho visto la carrozzina di Clara, ho subito pensato che me la immaginavo così una carrozzina appartenente a una bambina di alto rango.

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Ho apprezzato anche le musiche di Niki Reiser: composte in tonalità minori, con i violini a farla a padrone, rendono possibile “percepire i desideri di Heidi”, ha detto Gsponer. In effetti Reiser è riuscito a rendere molto bene la tristezza che attanaglia la piccola Heidi soprattutto durante il soggiorno a Francoforte. Invece lo yodel tipico della tradizione svizzera, che sentiamo anche nella sigla italiana dell’anime, è stato eliminato del tutto per rendere il film universale. Sarebbe stato divertente sentirne qualche pezzo durante le scene al pascolo, ma probabilmente avrebbe sminuito il senso di felicità provato da Peter e Heidi a contatto con la natura, quindi meglio così.

In ultimo, gli attori: quasi tutti impeccabili, soprattutto gli adulti. Spicca Bruno Ganz nel ruolo di Almohi: l’attore ha saputo rendere visibile il cambiamento del nonno nei confronti della nipote, soprattutto tramite piccoli gesti ed espressioni facciali. Anche Katharina Schüttler ha lavorato in modo impeccabile sul linguaggio del corpo per vestire i panni della terribile signorina Rottenmeier, e il cast ha potuto avvalersi di Hannelore Hoger, una delle attrici caratteriste più conosciute in Germania, nel ruolo della signora Sesemann. Strappa sorrisi divertiti il maggiordomo Sebastian, interpretato da Peter Lohmeyer, che cerca di rimanere serio e impettito di fronte alle strambe richieste di Heidi.

Tra gli attori più giovani emerge invece Quirin Agrippi che, nonostante sia alla sua prima esperienza di fronte alla macchina da presa, riesce a rendere molto bene il sentimento di gelosia che alberga in Peter nei confronti di Heidi.

Heidi di Alain Gsponer un adattamento quasi riuscito

Un film, insomma, quasi perfetto. Peccato ci sia una cosa fondamentale che assolutamente non funziona, ed è proprio il personaggio di Heidi, che invece dovrebbe essere la colonna portante del film. Non mi sento di dare tutta la colpa ad Anuk Steffen, in fondo era alla sua prima esperienza e per avere nove anni se l’è anche cavata bene. Ma quando sento parlare di Heidi, mi immagino una bambina curiosa, irrequieta e al limite dell’iperattività, tutte particolarità che nell’Heidi della Steffen non ho visto.

Heidi è inoltre l’elemento debole della sceneggiatura di Volpe: gli altri personaggi erano molto più definiti e ben caratterizzati, persino in zia Dede si percepisce l’ambivalente contrasto tra l’amore per la nipote e la ricerca egoistica di ciò che è meglio per se stessa. Heidi invece è un personaggio piatto, non definito. È davvero difficile vedere nella piccola Anuk la bambina svizzera che da generazioni alberga nell’immaginario collettivo di tutto il mondo. Sarebbero bastati anche dei piccoli accorgimenti, come affiancare Fiocco di Neve alla giovane attrice oppure vestirla col dirndl che appare anche nel cartone, piuttosto che sempre con la solita, impersonale tunica bianca.

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