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Si tratta forse della più celebre giornalista e scrittrice italiana della seconda metà del Novecento. Scrivere di lei è come voler raccontare la storia del giornalismo, quello vero, quello che si faceva passando la giornata tra ospedale, tribunale e questura a caccia di notizie. E’ stata la prima donna in Italia ad andare al fronte in qualità di inviata speciale, durante la guerra del Vietnam.

Classe 1929, Oriana Fallaci se n’è andata ormai da otto anni, dal 2006, ma quest’anno, il 29 giugno, avrebbe compiuto ottantacinque anni. Una vita spesa per il suo lavoro, per quello che più amava fare e nel quale, senza ombra di dubbio, era la migliore.

A quattordici anni, alla fine della seconda guerra mondiale, fu insignita di un riconoscimento d’onore per il suo apporto alla Resistenza mentre a diciassette aveva già pubblicato i primi articoli fino al suo approdo all’Europeo.

Sono gli anni Sessanta e Oriana è una donna alle prese con un mestiere prettamente maschile, ma a Roma comincia a mettere a punto un metodo innovativo e unico di fare interviste che la renderà la più celebre in questo campo e sicuramente la più temuta dalle sue “vittime”. “Per esser buona un’intervista deve infilarsi, affondarsi, nel cuore dell’intervistato” dirà la Fallaci nel 2004. Alcune delle sue interviste più celebri sono state raccolte nel 1974 nel volume “Intervista con la storia”.

Il rettore del Columbia College di Chicago, consegnandole la laurea honoris causa in letteratura, la definì uno degli autori più letti ed amati del mondo; ha infatti scritto e collaborato con numerosi giornali e periodici, tra cui il New York Times Magazine, Life, Le Nouvel Observateur, Stern e Corriere della sera.

Gli articoli, i reportage e le interviste non bastano a spiegare la Fallaci che sorprende, se ancora è possibile, con i suoi libri: “Lettera a un bambino mai nato”, “Insciallah”, “Un uomo” (dedicato al suo compagno) e soprattutto l’ultimo, da New York, poco dopo l’11 settembre 2001 “La Rabbia e L’Orgoglio”.

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