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Rimettiamoci in gioco.” É questo che ha detto Fabio Massimo Colasanti quando ha fatto la conoscenza degli UnicoStampo, giovane rock-band, e del frontman (nonchè voce) del gruppo, Danilo Cioni. Un progetto fresco e interessante, con cui l’ex chitarrista – tra gli altri – di Pino Daniele si è subito integrato.

Blog di Cultura ha scambiato due chiacchiere con Colasanti, in rappresentanza della band: si è parlato, tra le altre cose, del singolo Così diversi, uscito lo scorso mese, e accompagnato da un notevole video che riporta alla mente le atmosfere milleriane di Sin City.

Fabio, com’è nata e come si è sviluppata la collaborazione con gli UnicoStampo?

Ho conosciuto Danilo una sera: amici comuni mi avevano invitato a sentire questa giovane band interessante. A me andava di riprendere a sentire cose nuove e a produrre. Mi sono subito innamorato della loro scrittura e del loro stile. Abbiamo iniziato a lavorare, con tutto ciò che ne segue: provini, demo, studio. Poi, come al solito, le band giovani hanno delle evoluzioni, i membri spesso cambiano e durante una serie di accorgimenti, quando gli arrangiamenti hanno cominciato a divenire più complessi, si è sentita la necessità di includere una seconda chitarra. Sono passato dunque da produttore a componente effettivo.

E l’album d’esordio della band? Quando dovrebbe uscire?

Durante questi anni ha provinato 40-50 pezzi, è stata dura sceglierli. Abbiamo quindi deciso di adottare questa strategia: da qui a settembre rilasceremo altri due singoli, ognuno accompagnato da un video. A fine settembre invece terzo singolo (probabilmente caratterizzato da ritmo più lento) insieme all’album. Che di fatto è già pronto, potrebbe uscire anche domani, ma dato che non ci corre dietro nessuno abbiamo deciso di spalmarlo: abbiamo sempre fatto tutto con le nostre forze, curando i particolari, e portando avanti l’idea di progetto indipendente.

Il singolo, Così diversi, pare basarsi sulla dialettica normale/diverso…

L’idea di Così diversi è che alla fine, nella stragrande maggioranza dei casi, quelli che sono additati come diversi, alla fine sono i veri normali. Dal testo poi è derivato il video, di cui a breve uscirà la versione uncut, che avrà sequenze ancora più forti.

Il brano è accompagnato da una clip citazionista, surrealista, quasi all’avanguardia nel panorama italiano.

Noi del gruppo abbiamo un amore comune per il cinema e per l’arte contemporanea, e abbiamo perciò pensato di realizzare un’opera – la clip – da considerare come un oggetto a se stante, come una sorta di installazione. Che magari fra dieci anni sarà ricordato a prescindere dalla canzone. All’inizio doveva essere rappresentato da un cartone animato: poi, insieme al regista abbiamo virato verso il girato. Il taglio però lo avevamo impostato insieme a Federico Palmerini, in modo che potesse conferire al video l’atmosfera dark che in effetti ha. É stato bello anche sperimentare su questo.

Grande importanza dunque data al lato visual del progetto.

Sì. Tanto che ci è anche venuta l’idea di eseguire i concerti interamente con sfondo visual, sarebbe qualcosa di molto suggestivo. Poi è chiaro che si tratta di un investimento impegnativo, ecco. Come d’altronde il disco.

Dal punto di vista della tecnica e dello stile adottati – e dell’esperienza che tu porti in dote alla band – cosa può esprimere il progetto?

In realtà siamo partiti da lontano: il disco è già stato preparato ma dai discografici era sempre stato considerato un po’ troppo staccato dall’idea di band emergente. Con gli UnicoStampo ho quindi cercato di renderlo più leggero, difatti è suonabile in maniera piuttosto agevole, con un sound più light, poco editing e molta cura alla ripresa. In ogni caso ce l’ho messa tutta per trarne fuori il massimo.

Nel panorama rock attuale, c’è qualche gruppo che non ha la visibilità che invece meriterebbe?

In questo periodo siamo fissati con una band australiana praticamente sconosciuta, i Karnivool. Un gruppo strepitoso che ho scoperto
un anno fa: sono ai livelli dei Tool, per dirne una, ma suonano in piccoli club. Meritano, davvero.In Italia la situazione è un po’ più complicata, vogliono tutti fare i talent-show e andare in televisione. Dei nostrani comunque apprezzo i Verdena. Poi dipende molto anche dal contesto generazionale: si impazzisce per i Radiohead ma lì siamo più dalle parti dell’indie. A livello internazionale poi è anche più semplice: l’inglese ti offre un bacino di utenti enorme, cosa che non ti permette invece, per ovvie ragioni, l’italiano.

Domanda inversa: qualche altro nome di grido che invece non fa particolarmente bene al rock?

Il problema in realtà è che la gente spesso è abituata a usare il termine rock non sempre in maniera attinente. In generale credo dipenda da parametri soggettivi e credo anche che in Italia siamo messi abbastanza male dal punto di vista rock, ecco.

Chiudiamo con una domanda individuale: chi ti ha fatto innamorare della chitarra?

Sicuramente Eric Clapton e Jimmy Page. Sono cresciuto coi Led Zeppelin per cui a livello artistico la figura di Page mi ha segnato.

[Ph. Credits: Alessandro D’Urso]

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