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22.11.63. Oppure 11.22.63, come il titolo originale, all’anglosassone. Chiamatela come volete, l’ordine dei fattori cambia ma il risultato no, perché ci troviamo di fronte a una delle serie tv destinate a segnare ineluttabilmente questo 2016, oltreché una delle più interessanti degli ultimi anni. Pare una diagnosi eccessivamente generosa per un prodotto basato su un romanzo del mai troppo lodato Stephen King (autore commerciale? Ma fateci il piacere), eppure la serie, andata in onda negli USA su Hulu e in Italia attualmente trasmessa da Sky Atlantic, è un gioiello di straordinaria efficacia.

Divisa in otto episodi, prodotta da J.J. Abrams, Bryan Burk, Bridget Carpenter e lo stesso King, e diretta dalla garanzia Kevin Macdonald (L’ultimo re di Scozia), 22.11.63 parte da un plot semplicissimo: è incentrato su Jake Epping (James Franco), mite insegnante di lettere del Maine, alle prese con la dolorosa separazione dalla moglie. Un giorno, Jake compie una scoperta allucinante: la tavola calda dell’amico Al (il premio Oscar Chris Cooper) nasconde un varco spaziotemporale in grado di portare indietro nel tempo. Al gli rivela che quella è l’autostrada per il 1960 e che Jake sarà la persona che riuscirà a sventare l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy per mano di Lee Harvey Oswald, avvenuto a Dallas proprio il 22 novembre 1963, in modo da regalare al mondo un presente migliore. Nonostante l’ovvio shock iniziale, Jake accetta la missione e si catapulta letteralmente nel 1960, cercando di cambiare la storia: ma il primo intoppo che gli si presenta è l’amore, nella persona della deliziosa bibliotecaria Sadie Dunhill (Sarah Gadon).

Abbiamo raccolto qualche ragione per cui 22.11.63 è una serie da non perdere, a cominciare dall’ambientazione.

Gli anni ’60

James Franco e Sarah Gadon nei panni di Jake Epping/Amberson e Sadie Dunhill
James Franco e Sarah Gadon nei panni di Jake Epping/Amberson e Sadie Dunhill

Perché a chi – figlio degli 80’s o millennial – è oggi innamorato degli anni ’60, basterà questa ragione: i Fabulous 60’s raccontati dalla serie sono una festa per gli occhi e per le orecchie. Come in un’altra serie di culto, Mad Men, si è letteralmente sommersi dalle atmosfere dell’epoca, ricostruita in tutte le sue sfaccettature evitando la mitizzazione, stando anzi attenti a mostrare pro e contro di un’era esaltante e controversa. Ad accompagnare l’ottimo impianto scenico è una colonna sonora zeppa di capolavori e chicche del periodo: dall’immancabile Stay di Maurice Williams & The Zodiacs a It’s now or never, la versione di ‘O sole mio di Elvis Presley.

La Storia e le storie

Riuscire nell’impresa di far appassionare lo spettatore alle vicende private dei protagonisti, allo stesso tempo non perdendo d’occhio nemmeno per un istante la Storia che passa. Un altro enorme pregio di 22.11.63 consiste nell’alternare l’approccio da spy-story alla caratterizzazione intimista dei personaggi, esplorati in maniera pressoché psicanalitica ma mai forzata o opprimente. La serie è inoltre un trionfo di riferimenti storici all’epopea degli Stati Uniti e all’universo orbitante attorno alla mitica figura di JFK, non rinunciando all’ironia, anzi. Quella di King, resa sullo schermo, è un’ironia più che mai beffarda e che non elude il confronto con lo scomodo passato del paese più complicato del mondo.

Il cast

Smessi i panni dell’autore disimpegnato in cerca d’identità, James Franco se la cava bene, impersonando efficacemente l’uomo qualunque in grado di cambiare la storia: l’immedesimazione c’è, la performance pure. A sorprendere però è l’intero cast, ottimamente assortito: se la canadese Sarah Gadon incarna la bionda e incontaminata innocenza degli anni ’60, in grado di rapire Jake, il britannico George McKay, nei panni di Bill (personaggio assente nel libro), stupisce per intensità e applicazione. Il contorno è di pura classe, dal già citato Chris Cooper a Josh Duhamel, fino alla splendida 64enne Annette O’Toole, che i fan di King ricorderanno bene: oltreché Martha Kent in Smallville, è stata interprete di Beverly Marsh (da donna) nella trasposizione televisiva di It del 1990.

La caratterizzazione di Lee Harvey Oswald

Daniel Webber nei panni di Lee Harvey Oswald
Daniel Webber nei panni di Lee Harvey Oswald

Un paragrafo a parte lo merita il personaggio di Lee Harvey Oswald. Perché anche il prestigioso The Hollywood Reporter lo ha ammesso: il ritratto dell’assassino di JFK è sensazionale. Pieno merito qui non solo alla sceneggiatura ma anche al lavoro dell’interprete di Oswald, il 27enne australiano Daniel Webber, i cui tratti ricordano vagamente quelli del rapper Moreno. Una performance sfaccettata e faticosa, a cominciare dall’assunzione di un accento il più possibile veritiero per la resa del personaggio: “Ci sono un sacco di registrazioni su Oswald“, ha dichiarato Webber. “E in ognuna di esse la voce di Lee suona in maniera differente. Perciò ho cercato di trovare i tratti comuni tra tutte le voci sentite, perché credo che Oswald in un certo senso recitasse una parte diversa in base al contesto“.

Il finale

Non anticipiamo nulla, rendiamo solo merito agli autori e alla produzione per essere riusciti a rendere pienamente il turbinio di sentimenti e sensazioni che domina il finale, nonostante qualche piccola licenza rispetto all’originale del libro. Un epilogo amaro, suggestivo ed estremamente romantico, come tutta l’opera di King.

[Foto: Hulu]

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