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Da una parte la preveggenza di Bonini e De Cataldo, dall’altra l’intuizione felice di Sollima di ricavare un film dal loro romanzo, fatto sta che Suburra ripercorre in modo incredibile e quasi fedelmente lo scandalo “Mafia Capitale” esploso soltanto due anni dopo. A tratti il realismo del racconto è tanto forte da far dimenticare che si parla di un libro. Sembra piuttosto l’atroce e dettagliato scorrere della cronaca nera romana a dettare i tempi di una pellicola che forse, troppo presto, è stata accolta non col giusto piglio dalla critica. Una Roma bagnata da un diluvio incessante si prepara ad un conto alla rovescia per una piccola Apocalisse, a scandire i tempi storie di criminalità intesa nel più ampio significato possibile. Azzeccata la scelta di accomunare due eventi cruciali, le dimissioni di Papa Ratzinger e la caduta del Governo Berlusconi, azzeccato il ritmo frenetico e incessante che ripercorre in tutto una settimana, indovinato anche il cast, ma su quello visti i nomi c’erano molti meno dubbi.

Sollima in questo campo ha dimostrato più volte di sapersi destreggiare; ama i racconti crudi, le scene forti e le trame dirette. Ad aiutarlo la forza del racconto che già di per sè basterebbe per pensare ad un’intera serie tv (vedi Gomorra).

Emblematica tra tutte, la scena del suicidio di Antonello Fassari, padre di Elio Germano, imprenditore indebitato e stanco di combattere, che si getta in un’anonima nottata della Capitale da Ponte Sant’Angelo. La scena già di per sè forte assume un connotato simbolico per quello che quel paesaggio ha rappresentato per Roma nel cinema; “La Grande Bellezza” premiata con l’Oscar per un attimo oscurata da quel gesto estremo. L’altro lato della città mostrato senza soffermarsi troppo a lungo, senza gli infiniti piano sequenza di Sorrentino, senza l’alone di magia che circonda le passeggiate di Toni Servillo.

Tema nel tema poi la lotta, soprattutto quella generazionale con l’irrequietezza dei giovani del film incapaci di ascoltare gli anziani che, d’altro canto sono troppo legati a determinati schemi per non ricadere in un vortice di scelte discutibili. E il ritratto crudo della criminalità, di quel che resta della Magliana, con un Claudio Amendola in grande spolvero, della nuova leva dei figli di quei boss, cresciuti nella loro ombra ma impazienti di prenderne il posto, degli zingari arrivati da fuori e arricchitisi, e soprattutto quella dei colletti bianchi e della politica che pur di raggiungere i propri obiettivi scavalca inibizioni e tabù. Poco importa però a quale di queste fazioni si appartiene, una sorta di morale nemmeno tanto nascosta dentro al film è quella che comunque sia gli errori si pagano.


Suburra non è un capolavoro in senso assoluto, non sarà tra le pellicole italiane presentate all’Academy e non avrà probabilmente i riconoscimenti della critica cinematografica. Ma nella sua semplicità è un film fatto davvero bene, con una storia forte, una colonna sonora riuscita ed un cast che merita. Questo già di per sè non è poco nella piattezza generale di molte pellicole più acclamate, e dovrebbe bastare quantomeno per decidere di andarlo a vedere.

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