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Il nuovo DPCM di Conte è stato comunicato intorno alle 13e30 di oggi, domenica 25 ottobre 2020 e ha imposto nuove restrizioni. A quanto pare, bar e ristoranti hanno ricevuto una stretta ancora più pesante. È d’obbligo infatti che chiudano tutti i giorni alle ore 18, compresi i festivi. Dopo quest’orario però sarà consentito favorire effettuare consegne a domicilio oppure garantire asporto. Oltre ad esserci tanta confusione riguardo orari molto diversi in ogni regione, c’è anche tanta rabbia.

 

Nuovo DPCM di Conte: cos’è stato deciso

 

Il nuovo DPCM di Conte è stato approvato intorno alle 13e30 di oggi, domenica 25 ottobre 2020, ma già suscita disapprovazione e proteste. Già ci sono state nei giorni scorsi rivolte a Napoli e ieri notte anche a Roma, inasprite ora dai nuovi provvedimenti. Il problema consiste nel fatto che si sono imposte nuove strette ai bar e ristoranti, ma non solo. Sebbene questi debbano chiudere alle 18, ci sono attività completamente chiuse. Si parla di palestre, piscine, centri sportivi, sale giochi, centri benessere, centri termali, cinema, teatri. Tutto ciò è stato chiuso. La rabbia degli italiani esplode non solo sui social, ma anche per le strade.

Sebbene il Presidente del Consiglio abbia promesso ai cittadini degli aiuti economici, gli italiani sono scontenti. Una nuova chiusura è un fallimento e ancora più arrabbiati sono i proprietari, gestori e lavoratori dei centri sportivi.

 

La rabbia di tutti

 

I primi a protestare sono bar e ristoratori, ma accanto a loro anche tutte le attività chiuse. Solo una settimana fa Conte aveva dichiarato, in un ennesimo DPCM, che palestre e piscine avevano 7 giorni per adeguarsi alle misure di sicurezza per il Covid. Hanno rispettato le regole, si sono adeguati, ma niente, sono state chiuse lo stesso. In più si ricorda che nell’adeguarsi hanno speso ulteriore denaro, ma questo non è servito a niente. Ora si spera che gli incentivi di cui ha parlato Conte in questo nuovo DPCM arrivino per davvero e in fretta, anche perché le famiglie costrette a chiudere le loro attività non possono rischiare di morire di fame.

 

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