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11 anni. Sono 11 anni ormai che, ogni 10 Ottobre, viene celebrata la Giornata Mondiale contro la Pena di Morte, istituita dalla WCADP (World Coalition against the death penalty).

La pena capitale, considerata da molti una pratica barbarica e ormai superata, è ancora, però, applicata in ben 58 Stati, come viene riportato sul sito di Amnesty International, da sempre attivo nella lotta all’uso della pena di morte.

Dei rimanenti Stati: 98 hanno abolito del tutto l’esecuzione, 35, nonostante mantengano la norma giuridica che prevede l’utilizzo, in determinati casi, della pena capitale, non la applicano da oltre 10 anni. Infine 8 sono i paesi che hanno abolito la condanna a morte per “reati comuni”.

Da sempre, comunque, gli artisti si sono dimostrati sensibili all’argomento, dando vita ad opere straordinarie, le quali hanno introdotto nuove motivazioni a favore della tesi che va contro l’uso dell’esecuzione.
Opere che entrano, di diritto, tra le più importanti mai scritte. Opere che, noi di Blog di Cultura, vi elencheremo in minima parte per rendere omaggio ad una crociata così notevole. Così essenziale.

Se si parla di artisti schierati contro la pena capitale, non si può non citare Cesare Beccaria e il suo capolavoro: “Dei delitti e delle pene”.
Capolavoro, sì. Perché un’opera pubblicata nel 1764 è rimasta attuale dopo quasi tre secoli. Perché l’autore, con ragionamenti semplici e comprensibili, elenca delle motivazioni ineccepibili, irreprensibili.
Un esempio?
“Non è l’intensione [l’intensità] della pena che fa il maggior effetto sull’animo umano, ma l’estensione di essa; perché la nostra sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime ma ripetute impressioni che da un forte ma passeggiero movimento.”

Fedor Dostojeskij, autore tra i più apprezzati di sempre, fu condannato a morte ed in seguito graziato. E, perciò, chi meglio di lui potrebbe esprimersi al riguardo?
Ecco un estratto di una delle sue opere migliori, L’Idiota:

« Ora, può darsi che il supplizio più grande e più forte non stia nelle ferite, ma nel sapere con certezza che, ecco, tra un’ora, poi tra dieci minuti, poi tra mezzo minuto, poi adesso, ecco, in quell’istante, l’anima volerà via dal corpo e tu non esisterai più come uomo, e questo ormai con certezza; l’essenziale è questa certezza. […] La punizione di uccidere chi ha ucciso è incomparabilmente più grande del delitto stesso. L’omicidio in base a una sentenza è incomparabilmente più atroce che non l’omicidio del malfattore. »

Vi lasciamo, infine con un estratto del primo volume (o film) de “Il Signore degli Anelli”, di Tolkien. In questa scena, che vede protagonisti Gandalf e Frodo, si parla del mostro Gollum. Essere abietto e senza ragione (apparentemente), metafora di chi, per mancanze di vario tipo, sviluppa una dipendenza. Verso la droga, l’alcol, il gioco d’azzardo, la paura. Verso la solitudine, la disumanità e la sofferenza.

“- […] Merita la morte.
– Se la merita! E come! Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei forse tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze.”

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